Il Coaching Relazionale è’ rivolto a coloro che vogliono il più possibile una vita serena. Essere felici non significa non avere problemi, bensì imparare a guardarli da un’altra prospettiva e trovarne le svariate soluzioni.
A volte si ha bisogno di confrontarsi con un'altra persona che ci sappia ascoltare davvero e ci incoraggi a credere in noi stessi.
E’ un metodo di sviluppo del potenziale umano, fondato sulla relazione creativa tra il Coach e il ricevente, focalizzato sulla scoperta e valorizzazione delle risorse personali.
E’ un processo di «allenamento» che mira al miglioramento della qualità di vita della persona, allo sviluppo delle sue specifiche potenzialità e al raggiungimento dei suoi obiettivi esistenziali.
Presupposto di partenza è che ogni persona abbia delle potenzialità latenti che ognuno può riconoscere e imparare ad utilizzare al meglio. Compito del Coach è quello di favorire nel ricevente il processo di riconoscimento di tali potenzialità e risorse e valutare insieme a lui il modo più efficace per impiegarle ogni giorno.
Il Coach Relazionale facilita, quindi, la definizione degli obiettivi, aiuta ad individuare le motivazioni, le strategie, le soluzioni e le risorse che è necessario attuare e sviluppare per realizzarli ed infine stimola all’attuazione di azioni mirate e sostiene la persona fino al loro pieno raggiungimento.
Il Coaching relazionale non può, d’altra parte, essere utilizzato come terapia sostitutiva in caso di patologie psichiatriche particolari o legate a disturbi della personalità.
Si rivolge invece a tutte quelle persone che vogliono vivere con maggiore soddisfazione la loro vita e raggiungere obiettivi significativi per la propria realizzazione: genitori, adolescenti, imprenditori, manager, insegnanti, atleti e tutti coloro che desiderano migliorare le proprie performances o superare momenti di difficoltà relazionale. In un rapporto di coaching l’allenamento e la valorizzazione delle potenzialità personali indicano, in sintesi, l’essenza del coaching stesso: un percorso autonomo di progressiva presa di coscienza, in cui il coach accompagnerà senza giudicare, né dare consigli o suggerire ricette, ma semplicemente ascoltando con mente aperta il ricevente affinché riesca a realizzare nella propria vita quanto davvero ritenuto importante.
Inizialmente il Riflessologo Facciale effettua un colloquio per conoscere le condizioni psico-fisiche del ricevente e decidere il tipo di trattamento da attuare o su quali zone lavorare.
Successivamente, il ricevente viene fatto distendere sull’apposito lettino per una durata che può variare dai 20 ai 40 minuti. Il trattamento può essere accompagnato da una musica rilassante di sottofondo che viene scelta insieme o che addirittura è quella del ricevente.
Il Riflessologo facciale in un primo momento effettua un protocollo di rilassamento del sistema nervoso (molto importante in quanto è quando il corpo è rilassato che il processo di guarigione può avviarsi) poi di tonificazione e da ultimo stimola dei punti base fondamentali.
Successivamente esegue lastimolazionedi alcune zone del volto corrispondenti a specifici apparati. Durante questa seconda fase il Riflessologo facciale ricerca nelle zonetrattateicosì detti punti interessanti: più dolenti, più arrossati, in presenza di affossamenti o rigonfiamenti.
Una volta individuati tali punti specifici dell’organo in questione, il R.F. agisce su di essi stimolandoli con delicatezza e presenza, secondo le tecniche di cui è esperto.
Finita la seduta viene altresì insegnato al ricevente come praticare da solo la R.F., consegnandogli una mappa del viso dove vengono colorate le zone da trattare ed educandolo così ad iniziare a prendersi cura di sé.
Il trattamento dei punti del viso può essere, infatti, praticato facilmente da soliutilizzando semplicemente le dita, le nocche o la punta arrotondata di una penna/matita o un apposito strumento.
Nel coaching è di particolare importanza la comunicazione. Durante le sedute essa diviene soprattutto strumento di formazione: questo perché gran parte della sofferenza umana ha origine sul piano relazionale, quando si vive la dolorosa esperienza di non comunicare in modo autentico con gli altri. Comunicare significa mettere in comune, condividere, aprirsi, dando valore e spazio ad altri punti di vista, sentimenti, bisogni. Presuppone disponibilità a riconoscere le ragioni dell’altro e a vedere le cose dal suo punto di vista. Dialogare significa, infatti, “riflettere in due”, uscire dal proprio rifugio cognitivo ed emotivo e non concepirsi più come individuo solitario, ma come persona in relazione.
Per definizione, la comunicazione autentica indebolisce l’attaccamento esclusivo ed escludente verso i soli propri interessi, e stimola l’attenzione ai valori comuni. Il dialogo quindi facilita la relazione amichevole, il rapporto, l’evoluzione.
Presuppone dedizione alla verità, intesa come allargamento della comprensione condivisa, onestà d’intento e integrità. In questo senso, la comunicazione è una pratica educativa.
Il dialogo è sinonimo di comunicazione: lo scopo non è vincere una battaglia, ma arricchire la comprensione a vantaggio di tutti i partecipanti.
Se discutere assume l’aspetto di una battaglia tra avversari, è facile che si accompagni all’inganno, alla deformazione della verità, alla menzogna. Il dialogo, invece, è favorito, e a sua volta favorisce, la sincerità e l’onestà. Nessuno perde, nessuno vince da solo. Si vince o si perde tutti insieme.
La pratica del dialogo, in famiglia, nella coppia, in gruppo, genera una comprensione empatica dei diversi bisogni e punti di vista, fornendo la base del rispetto reciproco, del comportamento etico, dell’azione ecologica. Ove vi è conflitto, la pratica del dialogo può riportare la pace. Ma non è semplice da attuare: richiede consapevolezza, impegno e allenamento.
Ciò che ostacola una buona comunicazione sono le cosiddette barriere. Le barriere sono specifiche azioni, o comportamenti-comunicazione, che – spesso in modo sottile e non vistoso – impediscono l’intimità, l’amicizia e la fiducia reciproca. Esempi di barriere sono il contraddire, il mettere in dubbio, il criticare, l’accusare, lo svalutare.
Le barriere sono anche forme di attacco: agiscono come aggressori o come percosse su chi le riceve. A differenza delle aggressioni reali, esse non sono visibili e non lasciano tracce sul corpo fisico. Ma possono colpire e lasciare ugualmente tracce sul piano emotivo e relazionale. La persona che le subisce, alla fine si sente indebolita e svuotata, irritata, adirata.
Ci sono delle mosse che si possono fare per non subire, e allo stesso tempo per non colludere, erigendo tali barriere a propria volta? È possibile difendersi dallo sgarbo o dal criticismo distruttivo senza aggredire e senza cedere all’aggressione?
Fortunatamente sì. È la via delle qualità dell’essere. Non è una via facile, ma ha il grande vantaggio che allenarsi a praticarla produce un continuo processo di evoluzione della coscienza, e quindi un maggior grado di integrità, libertà e benessere.
Nello svolgere la professione di coach relazionale, mi astengo dal dare indicazioni o direttive a meno che non mi siano richieste esplicitamente. Mi impegno invece in un ascolto veramente profondo e, attraverso opportune domande, cerco di aiutare la persona a rendersi più consapevole, per scoprire i suoi veri desideri. Se il percorso passa attraverso l’incoraggiamento a credere fermamente in sè stessi, la meta è la più alta per un essere umano: auto-crearsi come persona unica ed irripetibile. La mia filosofia, maturata dalla mia esperienza e da importanti collaborazioni professionali, si basa sulla convinzione che ognuno di noi può costruire ogni giorno la propria felicità. Per realizzarla è però necessario un grande e costante impegno: bisogna lavorare tanto per essere felici! Chiaramente non intendo il lavoro quotidiano con cui guadagniamo, bensì dedicare del tempo a noi stessi, per conoscerci davvero e per dare così alla nostra vita quel senso che si è sempre desiderato che avesse!